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SCRIVERE DI SCIENZA O DI FANTASCIENZA?

Difficile crederlo, ma in questa società globalizzata i ricercatori fai da te sono decisamente più numerosi di quanto si possa immaginare. Grande soddisfazione questa per un paese come il nostro, dove il ruolo della cultura e della ricerca è relegato in un cantuccio. Hai qualcosa da dire? Dillo pure, tanto nessuno ti pagherà mai per quel che scopri e tantomeno ti ringrazierà.

Che sia forse la consapevolezza che gli italiani sono un popolo di artisti e scienziati che ha spinto i nostri ministri a tagliare a zero proprio in questi due settori? Di sicuro quando la passione per la scienza chiama c'è poco da fare, che sia una professione o una passione, le ore dedicate allo studio e alla ricerca per chi fa le cose sul serio sono sempre tutte quelle che si può. Ma che fare quando si pensa di aver scoperto qualcosa o quando si è convinti che i propri pensieri possano essere utili agli altri? Qui iniziano i dolori.


Innanzitutto occorre dire che chi si occupa di scienza può farlo a vari livelli, non c'è solo la ricerca ma anche la divulgazione. Vediamo quali sono gli standard che devono essere seguiti in questi due ambiti per essere letti ed evitare di dir sciocchezze.


Ricerca scientifica

Fare scienza significa indagare ai limiti del sapere umano, formalizzando cioò che si è scoperto tramite un codice verbale e/o simbolico che sia rigorosamente compatibile con gli schemi di comunicazione della materia scielta. Prendiamo per esempio un lavoro di ricerca in Fisica. Il ricercatore che ritiene di aver fatto una scoperta degna di nota, per poterla comunicare dovrà rendere il proprio lavoro compatibile prima con gli standard di comunicazione in ambito fisico, cioè dovrà scrivere il proprio lavoro in inglese corretto, usare il formalismo fisico-matematico più opprtuno per rappresentare il modello teorico e, controllata la validità delle ipotesi iniziali, spiegare esaurientemente il proprio lavoro dimostrando a prova di stupido che la procedura logico-formale utilizzata è inconfutabile. Poi, scelta accuratamente la rivista su cui pubblicare in base ai contenuti, dovrà normalizzarne la forma adeguando lo scritto al format richiesto dal giornale. Tutto qui? Magari! A questo punto, inviato il lavoro per posta o via e-mail o per upload, questo dovrà passare due vagli, quello dell'editor che stabilisce se i contenuti del lavoro sono adeguati al pubblico al quale la rivista si rivolge e quello dei referee, ovvero "dei pari", solitamente due specialisti in quello stesso settore o in settori affini, che esaminato il lavoro decidono o meno se è degno di pubblicazione.

Pubblicare non è affatto semplice soprattutto per un fatto, se un ricercatore è integrato in una struttura di ricerca nazionale o internazionale, il suo ambito di ricerca è lo stesso di molti altri, quindi i contenuti sono certamente familiari e la "revisione dei pari" non creerà troppi astacoli. Se al contrario un ricercatore è solitario perché lavora in strutture private o esterne ai dradizionali istituti di ricerca, i referee potrebbero trovare il lavoro troppo distante dal consueto. In questo caso pubblicare può essere un problema.


Solitamente se non si esce troppo dal seminato e il lavoro è corretto la revisione dei pari (peer review) non dovrebbe creare troppi intoppi. Se invece il lavoro si allontana troppo dagli standard usuali, prima di arrivare alla pubblicazione, anche per un lavoro perfetto ci possono essere dei problemi.


Come aggirare l'ostacolo

Fino ad una decina di anni fa un ricercatore non aveva scelte. Passare attraverso la revisione dei pari era l'unica strada possibile per arrivare alla pubblicazione. Negli ultimi 5-6 anni con l'affermazione delle riviste specialistiche on-line prima, con il web 2.0 poi, il mondo della e-science ha aperto nuove strade per l'autopubblicazione dei lavori scientifici fai da te. In tutto il mondo sono nati archivi on-line per la pubblicazione dei lavori di ricerca in vari settori. Una vetrina grande come il mondo per esporre il proprio lavoro. Vien da se che se il lavoro è valido non c'è peer review che tenga, il lavoro è letto acquisito dalle "library" dei centri di ricerca e apprezzato. In fisica il più imponente degli archivi scientifici contemporanei è arXiv, un progetto attivo presso la Cornell University a Ithaca nello stato di New York. L'idea è grande tanto quanto l'imponenza di arXiv che ad oggi raccoglie 666.321 lavori tra matematica, fisica, informatica, biologia ed economia. Un archivio davvero imponente al quale fanno ormai riferimento tutti i maggiori centri di ricerca del mondo.

Attenzione però, l'ascesa di arXiv ha implicato una maggiore attenzione verso ciò che i ricercatori pubblicano. Mentre all'inizio dell'attività per pubblicare era sufficiente possedere dei requisiti di base o essere in qualche modo appoggiati da altri ricercatori già noti (endorsement) ora si sono create delle vere e proprie lobby e in certi ambiti è praticamente impossibile pubblicare se non si è più che appoggiati. Come se non bastasse, i moderatori sono diventati agguerriti, e se qualcosa non profuma più che di standard, il rischio di essere buttati fuori c'è e non poco.


Prorio come rivolta verso questi metodi a volte non troppo ortodossi, sono nati degli archivi pubblici liberi tra i quali uno dei più noti per l'aperta ribellione ai metodi di arXiv è viXra, (sigla bifronte di arXiv) dove la filosofia è "attento a non scrivere bufale perché nessuno ti legge ma scrivi pure quel che vuoi" e tutto nel più rigoroso standard scientifico. Se da una parte troppa severità non fa bene alla scienza, dall'altra troppa libertà non è nemmeno garanzia di serietà; quindi cari aspiranti scienziati, pubblicare non è semplice ma non deve nemmeno esserlo, altrimenti la frontiera tra scienza e fantascienza rischia di svanire.



La divulgazione scientifica

Fare divulgazione scientifica significa invece razionalizzare la conoscenza rendendola accessibile a tutti. Un lavoro decisamente non semplice. Per far questo non occorre essere né scienziati né giornalisti ma attenzione, chi vuol fare seriamente il mestiere del divulgatore deve assumersi la stessa enorme responsabilità che si assume un formatore ma non un informatore. Informare non implica formare. Prendiamo per esempio il caso di un articolo di informazione scientifica che tratti del processo di entanglement, ovvero, io ti informo che è stato scoperto un nuovo fenomeno fisico, per ora ancora inspiegabile per cui è possibile teletrasportare la materia ma non ti spiego né come funzione né quali sono i suoi limiti attuali. Tutto questo lascia sicuramente spazio alla fantasia ma non permette ad un lettore di farsi un'idea di quali sono i problemi sollevati dall'entanglement. Qualcuno potrebbe dire che è compito delle scuole e delle università spiegare il perché e se qualche lettore non ha la formazione di base adatta, come è possibile spiegargli dei processi che a volte nemmeno i fisici quantistici sono in grado di conoscere fino in fondo? Esiste una enorme differenza tra spiegare e formare. Si forma quando si riescono a creare i prerequisiti di base per poter costruire un ragionamento complesso, si spiega qualcosa quando la formazione di base è già acquisita.


Il divulgatore è questo che deve fare, formare, cioè dare ad un individuo i mezzi necessari perché questi sia in grado esprimere un giudizio autonomo su un dato argomento.

Superato questo enorme scoglio, sono fermamente convinto che un articolo divulgativo sia sempre in grado di crerare in un individuo le basi per un apprendimento profondo e duraturo indipendentemente dall'argomento. Pensate di poterci riuscire e volete provarci? Inviatemi un vostro pezzo sull'entanglement, vi daremo un giudizio e se ne ha i requisiti lo pubblicheremo.



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